Giovane, ibrido, precario e senza tesserino

Giovane, ibrido, precario e senza tesserino

Alla domanda chi è un giornalista e cosa fa ci sarà una fetta di persone che storcerà il naso perché per l’ennesima volta sente porre questa domanda. E una parte che avrà una certa curiosità perché ancora non l’ha capito. O, meglio, non sa più che strada abbia preso il giornalista negli ultimi… vent’anni? Dico vent’anni perché sono più o meno gli stessi anni che mi pongo questa domanda, pur essendo diventata giornalista pubblicista, prima, professionista, poi, quindi so come ci si arriva e più o meno cosa fa. Ma di fronte alle incongruenze tra vecchi e nuovi giornalisti (mi pongo nel mezzo com’è la mia età) il tema è lontanissimo dall’essere chiarito.

E forse sì, non si arriverà mai a un punto, ma potremmo arrivare un giorno a parlare della professione in termini positivi e raccontare una situazione professionale vantaggiosa, ricca, prospera, all’avanguardia. Invece, sono anni che il quadro della professione è terribilmente fosco e quello che si fa per cambiare le cose è, in tutta evidenza, non abbastanza.

Secondo la terza edizione dell’Osservatorio sul Giornalismo dell’Agcom che risale a novembre 2020, in Italia ci sono 109.805 giornalisti di cui 35.706 attivi, meno di dieci anni fa.

4 giornalisti su 10 sono freelance il più delle volte costretti a un lavoro precario e a basso reddito. Il divario tra la vecchia guarda dei giornalisti assunti in redazione e dei collaboratori con contratti precari o autonomi è ampissimo, ma invece di aprire le porte ai giovani, si stanno aprendo le porte ai vecchi che vanno in pensione. Allo stato dell’arte, la fotografia che restituisce l’Osservatorio è di invecchiamento e precarizzazione del giornalista.

Aggiugiamo anche il triste fatto che i giornalisti “hanno poca propensione allo svolgimento delle attività del web journalism”. Tutto questo suona sconfortante, ma soprattutto cronicizzato. Per quanto mi riguarda sento di rientrare perfettamente in questo quadro con 15 anni di vita da freelance (tranne pochi mesi da praticante) e 4 anni da dipendente ibrida con l’unica eccezione sullo svolgimento da web journalist perché ho trovato quasi sempre porte aperte nel digital con mia somma felicità e riconoscenza del web. L’altro aspetto importante, appunto, e non necessariamente negativo – dipende da come la si vede – è che la professione tende a ibridarsi, ovvero il giornalista non è solo colui che lavora in una redazione editoriale, ma in un’azienda, in ufficio stampa, nella comunicazione in generale.

Giornalista definizione

Sono andata a prendere la definizione della Treccani: “Chi, per professione, scrive per i giornali, e chi collabora, come redattore, alla compilazione di un giornale”.

Identifichiamo ancora il giornalista con colui che scrive, ovviamente non è così: può scrivere, ma anche filmare, costruire immagini, analizzare dati, usare la voce, fa informazione. Quello che lo distingue sono le sue fonti, la ricerca e la verifica dell’informazione che poi impacchetta secondo il mezzo. Su Google si trovano cose anche curiose sul giornalista, come quella che dovrebbe “creare emozione”, niente di più lontano da chi deve fare informazione. 

I giovani che fanno giornalismo ma non sono giornalisti

Passando alle caratteristiche socio-demografiche, i giornalisti stanno invecchiando: nel 2000 i giornalisti ultrasessantenni erano il 2%, mentre il 53% dei giornalisti aveva meno di 40 anni. Nel 2018 il 12% della popolazione giornalistica aveva più di 60 anni. Oggi il 40% dei giornalisti ha più di 50 anni. E gli under 30? Non pervenuti. 

L’Osservatorio tiene conto dei dati dell’Ordine e dell’Inpgi che quindi non possono che restituire una fotografia di giornalisti più anziani perché a loro sfuggono tutti quegli “ibridi” che non hanno possibilità di accesso alla professione né come pubblicisti né ancor meno come professionisti che, però, informazione la fanno attraverso le piattaforme digital. Loro non sono giornalisti secondo la definizione da vocabolario e secondo l’inquadramento ormai datato delle istituzioni. E magari non sono nemmeno precari perché l’azienda che li ha assunti non è editoriale in senso classico.

Eppure volendo, pur nell’ibridazione dell’attività svolta, possono rientrare tranquillamente tra chi fa giornalismo, usando il metodo giornalistico. Per loro non è facile accedere all’albo e alla professione, ma forse fuggono volentieri dalla scatola nella quale dovrebbero entrare per essere definiti giornalisti.

Qualche sera fa io e una mia collega della carta stampata stavamo riflettendo su questo ed è il motivo per cui ho tirato fuori per l’ennesima volta la domanda su chi è il giornalista. Mi sono spinta a scrivere ancora sul tema che a molti è venuto a nausea o in tanti semplicemente hanno alzato le braccia. Ma la pandemia, come in molte altre situazioni, ha pestato di nuovo il tasto, avvicindando su questa zattera della precarietà giovani e vecchi giornalisti.

Più scrivevo più mi accorgevo di lasciare indietro molti altri rivoli importanti che confluiscono in una mappa sempre più complessa della professione. 

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