La vita morbida, scelta o necessità?

La vita morbida, scelta o necessità?

La chiamano soft life, vita morbida, ed è lo stile di vita che alcune persone stanno abbracciando per dire stop allo stress, alla vita frenetica, votata alla produttività senza limiti. In un suo articolo Fortune sottolinea che la scelta è fatta in particolare dai Millennials e che sta cambiando il mondo del lavoro. Uno stile di vita influenza il nostro modo di lavorare e anche in che modo pensiamo al lavoro perché il lavoro è parte della vita e, per paradosso, è l’attività che ci permette persino di invertire la rotta della performance a tutti i costi e scegliere una vita morbida.

Soft life, una vita sostenibile

Il fenomeno della vita comoda é una conseguenza della pandemia, ma forse esisteva già prima e come al solito la pandemia ha solo forzato i tempi. È strettamente connessa alle grandi dimissioni, altro fenomeno degli ultimi due anni. Perché ci si licenzia da un lavoro che non ci rispecchia più, stressante, che invade il resto della vita e si sceglie di vivere in modo più “comodo”, morbido. Una vita più sostenibile perché basata su meno stress, meno ore di lavoro, o un lavoro distribuito meglio sulle proprie esigenze, meno spese e dove il concetto di successo cambia struttura.

Rallentare, avere una vita più aderente possibile ai propri ritmi, alle proprie passioni non significa non lavorare e, spesso, (purtroppo) non è neanche compatibile con le difficoltà della vita stessa. C’è chi può permetterselo come l’imprenditore trevigiano che lascia l’impresa per viaggiare a bordo di una Vespa. È chiaro che certe scelte si possono fare anche senza avere gruzzoli cospicui: Fortune cita la storia di una persona che è stata licenziata e ha, di conseguenza, scelto una soft life trasferendosi in Messico e concedendosi di vivere dove voleva grazie a quanto aveva risparmiato nella precedente vita devota al capitalismo, ma riducendo le proprie necessità. Ci sono persone costrette a scegliere una vita morbida perché sull’orlo di una crisi di nervi. C’è senza dubbio, una generazione pronta a cambiare i paradigmi culturali e sociali per abbracciare la soft life.

Se l’edonismo del passato ci portava a chiedere “quanto devo guadagnare per soddisfare tutte le mie esigenze?”, viaggi, auto, casa, abiti, la domanda che oggi si fa chi sceglie la soft life è “Qual è il minimo di cui ho bisogno per vivere una vita sostenibile?”.

Il primo significato di soft life

In America, dove il fenomeno è una realtà visibile, si potrebbe pensare che riguardi principalmente il borghese mondo dei bianchi, invece, a scegliere la soft life è una larga fetta di gente di colore. Perché fare questa differenza? In realtà, non è una diversità, ma l’osservazione oggettiva di quanto questa vita morbida sia più anelata da certe persone più di altre, perché la scelta non è che una necessità travestita dal desiderio di salvaguardare la propria vita da un sistema che la sta schiacciando.

Il termine soft life, in realtà, è nato in Nigeria con un’accezione diversa. La cantante Nonfundo Moh ne ha fatto una canzone e indica una vita agiata, intesa come priva di difficoltà economica, benché questo non significhi per forza lusso. L’origine del termine è spiegata in questo articolo. Nel ricco mondo occidentale che se n’è appropriato e fatto evolvere, è la libertà da una vita costretta a produrre per un capitalismo antistorico e scricchiolante, per chi vive in paesi africani come la Nigeria è liberarsi dalle anacronistiche catene della povertà in un mondo che la povertà può sicuramente ridurla. Ancora una volta un termine con radici valide, si trasforma in fenomeno e nel suo opposto se lo si usa da una o dall’altra parte del mondo. E chissà se e dove metterà radici.

Essere numero 2, potere e forza (senza classifiche)

Photo by Jacalyn Beales on Unsplash

Torna in alto