Per la delusione di essere secondo Zorzi lasciò la pallavolo

Per la delusione di essere secondo Zorzi lasciò la pallavolo

Perdere l’oro e conquistare “solo” una medaglia d’argento può essere così deludente per un atleta da decidere di abbandonare la carriera sportiva. La competizione a cui sono abituati gli sportivi è estrema, ma spesso anche nella vita accade di vivere in modo eccessivo la dicotomia vincente – perdente, senza cogliere tutte le sfumature che ci sono tra questi due poli.

Lo racconta con chiarezza Andrea Zorzi durante una delle Fuckup Night di Milano, il movimento che celebra i fallimenti. Zorzi è uno dei pallavolisti parte della generazione di fenomeni che negli anni 90 vinse tutto, portando la pallavolo italiana sulla vetta del mondo, ma non vinse mai l’oro alle Olimpiadi perdendolo nel 1992 a Barcellona, sfiorandolo nel 1996 ad Atlanta con un argento, e a Sidney nel 2000 dove appese al collo una medaglia di bronzo.

Essere secondo: Andrea Zorzi e il fallimento

Tuttavia, fu dopo l’argento che Andrea Zorzi maturò l’idea di lasciare la pallavolo da giocatore. Eppure, oggi racconta che la sconfitta più grande non fu quel secondo podio, ma il quinto posto a Barcellona, perché in quel momento, quella generazione di campioni aveva iniziato a montarsi la testa e a perdere di vista il senso della loro impresa mondiale, che resta riconosciuta da tutti con un “ma..” una frase incollata per sempre alla loro storia sportiva: “…non avete mai vinto l’oro”.

E questo mancato riconoscimento è e resta un fallimento. Con gli anni, però, Andrea Zorzi ha preso le distanze da quella delusione riconoscendone i motivi e raccontando una nuova storia dell’essere secondo. “La vita non è come lo sport”. Se nello sport il contrario di vincente è perdente, nella vita no: il perdente non esite. “Non ha senso pensare che vincente sia una caratteristica identitaria di un gruppo per differenza con altri che invece sono perdenti”, dice Zorzi. Non esistono elementi fissi che identificano chi vince o chi perde. “Nello sport si può e si deve essere insaziabili di vittorie”, aggiunge il campione. “Ma lo sport ha un altro vantaggio: a un certo punto per ragioni fisiche smetti”. Perché è impensabile nello sport quanto nella vita di poter essere sempre primo. Persino i campioni che collezionano vittorie, talvolta, restano indietro e quella squadra di pallavolo che resta nella storia la più forte di sempre ce lo racconta in modo cristallino.

Il successo non è vincere

“Il successo per un sacco di anni è stato facilmente identificabile: era vincere”, rivela Andrea Zorzi. “Cosa significa successo fuori dallo sport? Dipende da un sacco di cose. Per me la sfida è provare a non applicare in modo automatico comportamenti che non trovo così efficaci. Continuo ad essere iper-competitivo, ma non vedo il quadro generale delle cose, vedo solo un avversario contro cui vincere e questo non è un buon approccio quando hai a che fare con un ambiente che non è sportivo”.

Nella sua seconda vita da attore, formatore, giornalista, Andrea Zorzi rivela che talvolta bisogna riconoscere l’impotenza, il vuoto senza dover correre per riempirlo quando a lasciarlo sono esperienze non piacevoli. “Qualunque valore si riconosce quasi esclusivamente nel suo contrario. La competizione tipica dello sportivo, il non mollare mai, la voglia di rialzarsi velocemente sono comportamenti che in alcuni contesti possono essere considerati positivi, nascondono chiaramente il proprio contrario”, spiega Zorzi.

Se nello sport la competizione è un valore, non lo è necessariamente in altri contesti e non lo è allo stesso modo per tutti. Ma c’è un modo per portare equilibrio tra l’essere primo ed essere secondo, tra la dicotomia vincente – perdente.

Continua Zorzi: “Per ogni ragionamento l’idea è: su questo ipotetico arco tra un valore e il suo opposto io dove mi posiziono di solito? Facciamo l’esempio banale tra l’eccesso di competizione e la mancanza totale di competizione. Non è questione di valore o disvalore. Se tu sei super competitivo farà a bene a te provare ad andare dall’altra parte, sbagliare in modo nuovo. Provare questo spostamento verso quella parte che frequentiamo di meno. Se uno non è per nulla competitivo gli fa bene ogni tanto provarci un po’ di più. Se uno è così competitivo che piuttosto che rischiare di perdere è meglio non entrare in competizione, allora provaci lo stesso”.

Essere secondo tra sport e vita

Lo sport semplifica, la vita complica. Ma lo sport funge da esempio, è un laboratorio per imparare a vivere la delusione, a gestire l’emozione del fallimento e a capire che vincere e perdere sono verbi complici, intrinsecamente amici. Perché l’uno non esiste senza l’altro non per forza in opposizione l’uno con l’altro, perché chi perde oggi, vince domani e viceversa. Certi slogan, suggerisce Andrea Zorzi in questa invista, come Volere è potere o Imposible is nothing andavano bene nella pubblicità di qualche anno fa, ma non hanno più alcun senso nelle nostre vite.

Foto di Bruce Warrington su Unsplash

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