I dolori dello streaming e il senso degli abbonamenti

I dolori dello streaming e il senso degli abbonamenti

Fatto #1: la notizia che Netflix stia perdendo abbonati ha generato flussi di conversazioni, titoli, post social, seguita da analisi sul perché e strategie per superare il momento.

Fatto #2: se ne parlava da qualche giorno e ora c’è la certezza che la piattaforma di streaming lanciata da Cnn a fine marzo, non è durata neanche un mese. Cnn + si è rivelata un flop e chiude: +29 marzo 2022 – 30 aprile 2022.

Il nuovo e già defunto servizio di streaming della Cnn nelle intenzioni doveva offrire contenuti esclusivi su news, approfondimenti, reportage, ma non è decollato e gli abbonamenti, come l’interesse del pubblico, sono stati molto più bassi delle aspettative. Il network lo aveva presentato come un’evoluzione importante per il futuro del servizio giornalistico.

Le due realtà sono molto diverse, Netflix è la piattaforma che nasce per lo streaming e vede in questa nuvola passeggera (che comunque preoccupa) alcune concause come la perdita degli abbonati russi dovuta alla scelta di Netflix di uscire dal mercato per la guerra, e la concorrenza delle altre piattaforme, Amazon Prime Video e Disney +.

Lo streaming che era stato favorito dalla pandemia, ora si ritrova a patire guerra e concorrenza senza la certezza del domani. La soluzione? Introdurre la pubblicità.

Anche per Netflix non può esistere un unico modello di business. Come altri media deve introdurre un mix, che si sa: se un pilastro trema, è importante averne altri per evitare il collasso. E quindi, pubblicità, abbonamenti, membership, affiliazione, eventi (per citare i più diffusi business) coesistono in percentuali diverse in questo mix a cui si affidano tv, editori, multimedia.

Se anche per i creator ci chiedono gli abbonamenti

Anche Instagram sta testando l’abbonamento da qualche tempo ad alcuni profili. Siamo convinti che i prodotti o i servizi che offriamo possano continuare a piacere all’infinito al pubblico pagante di cui ci siamo conquistati l’attenzione a fatica. Ma quel pubblico divide facilmente la spesa mettendo il servizio in comune, diventa esigente e si annoia con un’offerta che dopo un po’ sembra spicciola, nonostante titoli e titoli mai sbirciati.

Dietro al clamore di Netflix, restano dei dati che ci dicono in generale quanto la spesa per gli abbonamenti ai contenuti digitali siano in aumento. Secondo l’ultimo convegno di dicembre 2021 dedicato al settore digital video del Politecnico di Milano, la spesa dei consumatori per i contenuti digitali in abbonamento o per usufruirne solo uno, nel 2021 è aumentata del 21%. Insomma, se ci si abbona meno a Netflix ci si abbona comunque a qualcos’altro. E l’indagine, ricordo, era dedicata al consumo di video.

Immettiamo nel digital sempre più contenuti, alcuni decidiamo di farli pagare promettendo di entrare in una “élite” esclusiva di contenuti imperdibili o così curati da essere un’esperienza irrinunciabile. Il ché ha un grandissimo valore, ma tenere alto lo standard promesso non è così scontato. Cnn + per esempio avrebbe potuto ma non è bastato. Il timore, quando arriveranno gli abbonamenti su Ig, che immaginiamo saranno tanto video, è che la gente tenderà a sottoscriverli per non rimanere fuori dalle conversazioni più che per un reale interesse, fenomeno che succede già. Questa cosa degli abbonamenti arriverà al punto di rottura con l’idea che tutto debba crescere all’infinito, anche la spesa per sottoscriverli, super parcellizzata in sommette per tanti micro-servizi, senza che nessuno abbia trovato il modo di far crescere l’unica cosa che l’abbonamento esige: il nostro tempo.

In cover Photo by Marina Hanna on Unsplash

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