Antonello Radicchi è un uomo di cavalli e sa che gli imprevisti capitano talmente spesso che diventano parte della gestione quotidiana del lavoro. Quando mi chiama per la nostra intervista, mi dice che non può farla perché un cavallo va portato in clinica. Non gli rubo troppo tempo e gli chiedo se possiamo rimandare al giorno dopo perché ci tengo a parlare con lui, sebbene al telefono.
Antonello Radicchi gestisce tutte le attività equestri del castello di Reschio. Chi ama viaggiare nello stile quite luxury probabilmente questo luogo lo conosce già.
Il castello di Reschio nel verde brillante dell’Umbria
Il castello di Reschio è una tenuta dalla bellezza antica unita a un restauro moderno e rispettoso, dove rifugiarsi nella lentezza e nella quiete, immergersi nei boschi, vivere il mondo dell’equitazione in un modo che non esiste altrove. E questa maniera di andare a cavallo, avere esperienza con gli equini e amarli è merito di Antonello e del Conte Bolza che ha dato il via alle attività di Reschio.
A metà degli anni ’80, il conte Antonio Bolza e sua moglie dopo un viaggio in Umbria si innamorarono di quella tenuta corrosa del tempo. La acquistarono e ne fecero il luogo che è oggi: un hotel all’interno del castello con 36 suite. Mentre una parte dei ruderi presenti nell’intera tenuta di 1500 ettari sono stati recuperati e trasformati in altrettante case da affittare o acquistare. A firmare il restauro è stato l’architetto, figlio del conte, che ancora oggi si prende cura di Reschio.
La comunicazione intenzionale, l’addestramento e allevamento dei cavalli spagnoli
La prima domanda che faccio ad Antonello quando ci sentiamo per la nostra intervista riguarda la salute del cavallo ricoverato in clinica. Un uomo di cavalli come Antonello non si pronuncia sulla loro salute finché non ne è certo, perché sa che anche quando si tratta del loro benessere i cavalli sono capaci di sorprenderci sempre.
Come hai iniziato la tua avventura con i cavalli?
Avevo 16 anni e conoscevo un ragazzo del mio paese che aveva un cavallo. Mi chiamava per strigliarlo, ma non era mai il giorno buono per salirci. Il cavallo, un trottatore, non galoppava, così la gente del paese lo prendeva in giro. In quel periodo, era l’86, conobbi un maestro francese che aveva cavalli spagnoli. Non ero mai salito in sella, lo feci per la prima volta e subito provai la sensazione inebriante del galoppo. Ero felice, mentre tutti mi guardavano preoccupati. Dissi a mio padre “galoppa, compriamolo!”. Iniziai a prendere lezione da quel maestro francese e dopo soli due mesi feci il mio primo spettacolo a Nuoro.
Il tuo allora è un dono…
Ammetto di aver avuto una grande facilità, ma ho anche incontrato persone che mi hanno insegnato come vivere i cavalli. Un altro maestro che mi ha illuminato è stato Philipp Karl.
Quando hai iniziato a lavorare a Reschio?
26 anni fa. Era la metà degli anni ’90.
E il tuo metodo d’addestramento, invece, com’è nato?
Ringrazio il Conte Bolza che non mi ha mai messo fretta. Per anni a ora di pranzo o nelle pause osservavo i cavalli al pascolo. Dopo averli studiati per tanto tempo, dissi al conte che volevo provare ad addestrarli senza usare l’imboccatura. Lui rispose: “lo faccia, ho fiducia in lei”. Con il nostro addestramento non usiamo l’imboccatura e questo azzera le difese del cavallo. La sicurezza in sella è più alta perché prepariamo i cavalli con esercizi che sviluppano la muscolatura in modo tale che si portino da soli. Scegliamo una ginnastica adatta alle caratteristiche morfologiche e in base a come si muove. Il segreto è tutto nel linguaggio. Quando il cavallo collabora si sviluppa una muscolatura armoniosa, al contrario, se non lo fa creiamo maggiori difficoltà proprio sulla muscolatura.
Hai brevettato questo metodo?
Abbiamo scritto un manuale “Do you speak equis” che spiega l’approccio con il lavoro a terra.
Quindi hai avuto un’intuizione e hai provato. Molti basano il rapporto con il cavallo sul linguaggio, perché il tuo è diverso?
Ho iniziato con un puledro. Ogni volta che il linguaggio era corretto, la risposta c’era. Era molto sereno, più di quelli addestrati in maniera classica. Dobbiamo imparare a osservare e considerare tutte le reazioni alle quali non siamo abituati. Il cavallo percepisce e agisce. Il mio metodo d’addestramento si può riassumere in due parole: comunicazione intenzionale, basata sull’intenzione di quello che vogliamo fare. Bisogna lavorare nel futuro dell’azione, senza aspettare l’esercizio completo. I cavalli hanno una sensibilità enorme, dobbiamo recuperare il linguaggio non verbale. Quando i nostri ospiti montano i nostri cavalli, si stupiscono della loro leggerezza. Le nostre capezze sono imbottite e lasciate lente, non usiamo gli speroni e il frustino solo sui nostri stivali. La comunicazione è alla base di tutto.Tra gli animali con cui l’uomo ha più a che fare, il cavallo è quello meno compreso.
Fate lezione per tutti i livelli?
Facciamo lezione anche per i bambini, per cavalieri e amazzoni principianti fino ai più esperti.
A Reschio c’è anche un allevamento di cavalli spagnoli addestrati secondo il tuo metodo.
Il conte voleva allevare cavalli spagnoli. Abbiamo trovato il cavallo che cercavamo nell’allevamento di Condau, un luogo storico. I nostri cavalli sono alti 1,70 cm o 1,75 al garrese. Cercavamo anche cavalli bravi nelle andature riunite e con poca estensione. L’allevamento ha avuto inizio con uno stallone, Uranio Sesto, e due femmine Lentisca e Ladrillera. Oggi abbiamo 30 cavalli, siamo arrivato alla quinta/sesta generazione, tutti allevati da noi.
Perché proprio quel tipo di cavallo spagnolo?
Il conte mi chiese qual era secondo me il cavallo ideale. Risposi uno che unisca le qualità dei cavalli tedeschi a quelle degli spagnoli. I cavalli tedeschi sono abili nel salto e nel dressage, hanno un’esplosione, una forza e una potenza spiccata. Gli spagnoli, dal canto loro, hanno più plasticità. Ma occorreva trovare tutto questo in purezza. E ce l’abbiamo fatta.
Come sono state realizzate le scuderie di Reschio?
Nascono dalla penna del conte Benedetto. Come architetto, mi chiese quali erano le esigenze per una scuderia ideale. Abbiamo creato una scuderia etologica. Ogni box ha il suo piccolo paddock e le pareti si possono abbattere. Abbiamo usato tutto lo spazio per 20 box raffreddati d’estate con acqua misto a olio di Nim che è un disinfettante naturale. Tutta la scuderia è areata e la luce sviluppata in penombra: né troppa, né troppo poca. Così serve ai cavalli. Il conte Benedetto è stato geniale nel realizzare quello che a noi serviva.
E i campi?
Abbiamo un campo coperto, il teatro, grande 20 metri per 60 che ha una parte più aperta sempre per la luce. E un campo esterno della stessa grandezza.
Come realizzate il vostro spettacolo?
Riprendiamo una parte dello spettacolo della scuola di equitazione spagnola di Vienna. Poi però cerchiamo di coinvolgere il pubblico spiegando quello che facciamo. Vogliamo diffondere questo tipo di addestramento basato sul linguaggio e sulla comunicazione dell’intenzione più che sul fare stesso.
Com’è il tuo rapporto oggi con il conte Antonio Bolza?
Il conte ha 80 anni ma tutte le mattine fa la sua passeggiata a cavallo. Ha passione e talento. Mi ha aiutato ad addestrarli, a scegliergli. La sua presenza in scuderia è essenziale. Io gli ho insegnato l’equitazione e lui mi ha insegnato a vivere.
Un uomo di cavalli come te, ha cavalli di proprietà?
Non potrei perché rischierei di curarli meno di quelli della tenuta. O forse di più. Sono tutti miei cavalli, mi prendo cura dei cavalli di Reschio”.