Questo settembre per me ha il sapore di una ripartenza speciale. Non è solo l’inizio del “nuovo anno lavorativo”, questo settembre ufficializzo un nuovo lavoro, nuovi obiettivi, nuovi desideri. Da due anni sono in cerca di una nuova forma da dare alla mia vita. E sono tutt’altro che vicina dall’averla trovata. Ma settembre è il mese delle ripartenze e anche se non sono pronta, si parte. Come tutti del resto. Ben pochi, finita l’estate, sono così freschi e riposati da avere le energie per ripartire, anche quando non devono affrontare rivoluzioni.
I 4 propositi che mi sono data a settembre
- Essere me stessa. Una necessità. Voler corrispondere alle aspettative altrui o, peggio, fermarmi a quello che gli altri credevano fossi stata capace di fare è il limite che mi ha fregata. Perché ho cercato di fare ciò che gli altri si aspettavano da me, invece di aderire a quello che sono veramente. In privato ci sono (quasi) riuscita. Al lavoro, invece, mi attende la vera sfida. E mi hanno fatto capire quanto costituisca un pilastro del successo essere se stessi due direttrici di giornali. Entrambe non hanno avuto paura di seguire il proprio istinto, le proprie idee e hanno ottenuto ciò per cui hanno duramente lavorato. E so che quel successo se lo sono guadagnato con devozione e fatica perché le ho seguite da vicino. Una è il nuovo direttore di Elle, Manuela Ravasio, già direttore di Marie Claire. Lei è la donna che leggete. Tutte le scelte editoriali, dai temi al visual, hanno la sua impronta. È forse l’esperimento più riuscito di direzione dal digital alla carta, perché al suo background da “ragazza del web” come si è definita nel suo ultimo editoriale su Marie Claire di settembre, ha cucito lo stile vecchio stampo della direzione cartacea: ovvero dare la sua anima al giornale. L’altra è Annalisa Monfreda, in passato direttore di diverse riviste, oggi imprenditrice visionaria che ha scelto di fare un gesto tabù: parlare di soldi con un piccolo gioiellino del digital che è Rame. Se non lo avete ancora fatto seguite il podcast e la newsletter.
- Osare il potere del networking. A inizio di quest’anno sono stata catapultata fuori dal lavoro da dipendente per tornare a lavorare con una formula che mi è più congeniale, quella da libera professionista. Nel volo che ho inconsciamente scelto di fare, la rete su cui approdare per non farmi male è stata l’insieme delle conoscenze che mi sono costruita negli anni. Nonostante abbia avuto la fortuna di avere una rete sicura, mi sono resa conto di quanto andasse rafforzata negli anni. L’ho un po’ trascurata dopo la pandemia, eppure la vera salvezza è un networking sincero e autentico. Non devono essere tutti amici, ma persone che stimi e che ti stimano. Conoscenze pronte a costruire ponti e collaborazioni.
- Dare significato al lavoro. Il cosiddetto purpose che i Millennials hanno sentito la necessità di portare in azienda. Ma io sarei più terra terra e opterei per una definizione antica legata all’idea che il proprio lavoro possa servire (pur in un settore di nicchia) a cambiare il mondo, come sanno bene gli artigiani padroni di un saper fare che collega mani, testa e cuore. Per farlo non conosco altro modo che tornare bambina dove le forme del talento sono grezze ma autentiche. Oggi mi interrogo su cos’ho di unico da offrire alle aziende. Perché devono lavorare con me. Ha senso scegliere e farsi scegliere, ma non sempre gli amori scattano, spesso perché non ho sufficiente fiducia in me da convincere gli altri di essere la persona giusta. E qui solo il significato che dai al tuo lavoro può sostenere l’intera impalcatura.
- Instaurare quante più connessioni. Negli ultimi anni ho associato la parola connessione al rapporto uomo/cavallo. È una delle esperienze emotive più belle che possano esistere e anche tra le più complesse, perché la connessione si sviluppa superando i limiti di due sistemi di comunicazione diversi. Poi ho letto Conversation on Love di Natasha Lunn e mi sono ricordata che connessione è anche la parola più usata per le relazioni umane (e anche per il digitale). L’amore è connessione, l’amicizia è connessione, i rapporti con i colleghi sono connessioni. In questo libro, Lunn raccoglie le interviste pubblicate nella sua newsletter a scrittori, psicologi, filosofi, medici in cui si interroga sull’amore in generale non solo romantico. Ciò che ci unisce sono le connessioni che instauriamo tra di noi (non è un caso infatti che abbiamo trasferito il concetto su quell’altro fronte non umano). Al taglio del nastro settembrino voglio incrementare quella che la Treccani chiama “intima unione fra due o più cose” e che, nonostante la parola cose, mi sembra l’azione più umana che meglio si addice a una ripartenza.