Ci sono parole che a furia di ripeterle, soprattutto nel contesto lavorativo, rischiano di perdere significato e rimanere così vuote da diventare quasi odiose. Queste parole sono, per esempio, vulnerabilità, autenticità, unicità. Esattamente quelle che una collana della casa editrice Franco Angeli ha cercato di riempire di valore. Perché sì, queste parole un valore ce l’hanno nel mondo del lavoro. E prima che rimangano a terra agonizzanti, questa collana, Voci del lavoro nuovo, ha cercato di salvare.
La vulnerabilità al lavoro
È interessante come i titoli dei volumi di questa collana siano soltanto la parola che ogni autore o autrice indaga. Vulnerabilità è stato scritto da Biancamaria Cavallini.
“Riconoscersi come vulnerabili significa creare spazi generativi”, scrive Cavallini, “ammettere il fallimento come fase (e talvolta come esito) possibile di un processo di apprendimento, accettare ed esporre i propri punti deboli in ottica costruttiva”. Come spiega il volume, esistono diversi tipi di vulnerabilità: fisica, mentale, economica, psicologica ed è su quest’ultima che si sofferma di più l’autrice.
Essere vulnerabili non è essere fragili, soprattutto dopo che si è compreso e accettato la propria vulnerabilità. C’è chi, con coraggio, è arrivato a farne un punto di forza. Uno step molto avanti, ma che è possibile raggiungere se eliminiamo lo stigma della vulnerabilità come qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Anelo un mondo del lavoro dove questo succede, proprio perché nelle esperienze vissute in grandi gruppi editoriali, la mia vulnerabilità che non è mai uguale a se stessa, cambia secondo le fasi della vita, è stata vista come punto da colpire.
Il mondo del lavoro si sta trasformando come conseguenza di un nuovo approccio portato avanti da GenZ e Millennials che non solo parlano di vulnerabilità, ma ritengono fondamentale che si tenga conto della propria salute mentale nel processo di vita lavorativo.
Occorre coraggio a mostrarsi vulnerabili. Si corre un rischio, perché vuol dire andare oltre le aspettative e il giudizio altrui. Ma l’accettazione della propria vulnerabilità porta a un valore secondario: la capacità di accettare e rispettare quella altrui. E quindi di apportare il cambiamento che vogliamo vedere.
Sul tema ne ha scritto e parlato ampiamente Brené Brown. Vale la pena recuperare il suo TED Il potere della vulnerabilità. Ci dice Brené: “La vulnerabilità non riguarda il vincere o il perdere. È il coraggio di presentarsi quando non si può controllare il risultato”.
L’autenticità al lavoro
Autenticità è il volume scritto da Pino Mercuri, che ce ne dà subito una definizione: “perché ‘autentico, dal latino tardo ‘authenticus’, dal greco ‘autentikos’ (che vuol dire ‘autore’, ‘che opera da sé e che significa in senso lato ‘avere autorità su se stessi’) significa essere fedeli a se stessi e nella consapevolezza della propria vocazione. L’autenticità riguarda la coerenza tra quelli che sono i nostri valori e e le nostre credenze più profonde (vale a dire, il nostro vero sé) e le nostre azioni”.
Nel mondo del lavoro essere autentici ha dei rischi, soprattutto se tu lo sei in un ambiente che non lo è. Eppure è un “acceleratore di networking” potentissimo, a patto che sia reale. Connette le persone che lavorano insieme nella conoscenza reciproca di chi si è veramente.
Essere autentici non significa urlare al collega “io sono fatto così”, ma mostrare l’entusiasmo in ciò che ci piace, il dubbio in ciò che poco ci convince e saperlo esprimere nel rispetto; porre l’altro nella condizione di fare allo stesso modo con noi. È una forma di trasparenza, ma come ci ricorda l’autore, l’autenticità va controllata, curata.
L’unicità al lavoro
Unicità è la parola indagata da Maria Cristina Bombelli. Come spiega l’autrice, unicità ha a che fare con diversità. E, evitando il rischio di rincorrere le mode, significa “valorizzare al meglio ogni singola persona all’interno delle aziende”.
Unicità è anche un impegno personale verso se stessi. Conoscere in primis e poi valorizzare la nostra unicità ci porta una vita piena di significato. Ma il contesto in cui noi intraprendiamo questo percorso è importante tanto quanto la capacità di guardarci dentro e riconoscere chi siamo. Gli altri e gli ambienti dove viviamo possono deviare il nostro sguardo.
“Il tema non è quindi quale professione andare a scegliere”, scrive l’autrice, “ma quale sé mettere in gioco. Al di là di competenze e mansioni, ogni persona può realizzarsi al meglio se viene riconosciuta la propria unicità, nel configurarsi specifico di fase della vita, fase dell’azienda, ruoli personali e professionali, ambizioni private e pubbliche”.
Unicità, a ben vedere, è anche plasticità perché chi siamo, pur nel nucleo più profondo, si trasforma nel tempo e grazie alle esperienze. Unici, ma non immutevoli.
Vulnerabilità, autenticità, unicità
Queste tre parole che sono affrontate in singoli libri nella collana (ne fanno parte in realtà altre 3 Coraggio, Felicità, Partecipazione) sono profondamente intrecciate tra loro. Perché nella nostra unicità abbiamo una parte di vulnerabilità che viene fuori quando siamo autentici. E se scegliamo di essere autentici nella vita personale e professionale non possiamo evitare che la vulnerabilità emerga. Essa è forse il fluido più complesso che plasma la nostra unicità.
America Ferrera nel TED La mia identità è un super potere intreccia perfettamente queste tre parole nel mondo del lavoro e fa una rivelazione che a molti di noi risuona vera:
“Ma quello che capii in quel momento era che non avevo mai chiesto al sistema di cambiare; gli stavo chiedendo di farmi entrare e non era la stessa cosa”. Quello che suggerisce Ferrera è che non dobbiamo adeguarci, ma trovare l’identità costruita su tre pilastri: vulnerabilità, autenticità e unicità e chiedere al sistema di cambiare per noi.
Foto di Mubashir Ahmet su Unsplash